London, Royal Opera House Covent Garden, “Manon” di Jules Massenet
Manon, sphynx étonnnant, véritable sirêne
Jules Massenet, compositore fra i più acclamati del suo tempo, è oggi in parte trascurato per una musica molto legata al gusto del pubblico borghese parigino di fine Ottocento, amante di un sentimentalismo esasperato e di melodie di facile effetto. Gli va riconosciuto però il merito di aver creato un linguaggio melodico lirico inconfondibile e una strumentazione raffinata, che Debussy svilupperà alle estreme conseguenze in Pelléas et Mélisande.
Delle trenta opere composte solo Werther e Manon hanno un posto stabile nel repertorio e, per quanto riguarda quest’ultima, che ebbe all’Opéra Comique dalla prima avvenuta nel 1884 oltre duemila rappresentazioni, in Italia non è mai diventata troppo popolare, anche se una versione italiana abbreviata senza i recitativi parlati (di cui esiste un’ottima testimonianza discografica con la Freni e Pavarotti) ha in parte contribuito alla sua divulgazione.
A Londra è ora in scena una nuova produzione firmata da Laurent Pelly e coprodotta con il Met, il Capitole di Toulouse e la Scala (dove andrà in scena nel 2012 ), che ha il merito di proporre un’edizione integrale con tutti i recitativi parlati in mélodrame e il lungo quadro della festa al Cours de la Reine, che, se pur dilata la durata dell’opera, rende maggiormente comprensibile la scelta di prendere i voti di Des Grieux e regala maggiore pregnanza drammatica al quadro di Saint Sulpice.
Anzichè seguire l’ambientazione settecentesca, Laurent Pelly traspone l’opera nell’epoca in cui fu scritta, depurandola di zucchero e sentimentalismo, per immergerla in un’atmosfera sensuale e cinica propria del Secondo Impero, dove viene marcata, come in un romanzo naturalista, l’influenza di un ambiente sociale che favorisce il materialismo e la mercificazione della donna. In questa produzione Manon è particolarmente “cattiva”, fin dall’inizio maliziosa e consapevole dello straordinario potere di seduzione che esercita sugli uomini, più vicina al disincantato ritratto del romanzo settecentesco dell’Abbé Prevost che alle intenzioni di Massenet, che ne stempera i tratti più negativi.
L’impianto scenico disegnato da Chantal Thomas è neutro e privo di una datazione precisa: sono piuttosto i movimenti e la recitazione dei singoli e delle masse , nonché i bellissimi costumi disegnati dallo stesso Pelly, a creare la giusta atmosfera. La stazione di posta sembra un modellino di un plastico: una piazzetta racchiusa da facciate con le finestre che si aprono e si chiudono per lasciare spiare i curiosi e una grande scala che conduce alla città alta dove si vedono casette in miniatura simili a costruzioni infantili.
La soffitta è un minuscolo ambiente, uno spaccato a giorno quasi sospeso nel vuoto su una struttura in ghisa grigia, con una gigantografia color seppia di tetti parigini sullo sfondo. Le Cours de la Reine è uno spazio vuoto con le luminarie da fiera, una ruota panoramica proiettata sullo sfondo e viali in discesa che s’intersecano per favorire l'andirivieni scenico. Manon ruba davvero tutta la scena, vestita di bianco e rosa confetto in un tripudio di piume, forme sinuose e gioielli che la rendono una cocotte desiderabile come Nanà. Anche le donne a passeggio sono maliziose e gli uomini con la tuba dall’aspetto impeccabile, non appena è finito il balletto, si caricano in spalla le recalcitranti ballerine dell’Opéra per un immediato piacere.
Nella scena di Saint Sulpice l’atmosfera corrotta avvolge anche le devote che assistono al sermone del giovane prete con un interesse decisamente terreno (e scappa il sorriso). L’austero ambiente della chiesa si surriscalda quando irrompe Manon in un lungo e semplice abito bianco (serpente tentatore ammantato di finto candore) che si avvicina carponi a Des Grieux e lo sfiora leggera: impossibile resistere. L’Hotel de Transilvanie è una cascata di scale racchiusa fra pareti a spigolo di colore grigio-verde affollata all’inverosimile di donne in vaporosi abiti rosa e giocatori in nero,una trappola senza via di fuga per una Manon al massimo del suo splendore.
Alla fine un molo desolato visto in prospettiva e un cielo livido accolgono una Manon dimessa e disillusa, calpestata e derisa dalle guardie e, solo nel momento della morte, per l’ultima volta fra le braccia di Des Grieux, troverà riscatto, suscitando tenerezza e commozione.
Per doti sceniche e temperamento Anna Netrebko è una Manon ideale e più che mai il confine fra l’interprete e il personaggio è labile. E’ Manon o la star della lirica la splendida donna che in abiti e gioielli favolosi passeggia per Cours de la Reine come fosse un red carpet consapevole dell’ammirazione altrui? Naturalmente bella e seduttrice, fasciata nell’abito da sera fucsia alla Jessica Rabbit, invade la scena con la sua presenza, perfetta incarnazione dei versi esaltati della “Namouna” di Musset pronunciati da Des Grieux “Manon, sphynx étonnnant, véritable sirêne, coeur trois fois féminin”. Credibile in ogni istante,adolescente dalla falsa innocenza accattivante come una gattina, cortigiana cinica, femme fatale, perdente disillusa e solo per un attimo innamorata. La voce lirica e sontuosa di timbro caldo e inconfondibile trasuda sensualità rovente e, perfettamente modulata, si adatta alla situazione drammatica come un guanto: c’è una tale sintonia fra parola, intensità del canto e naturalezza gestuale da rendere tutto drammaticamente vero.
La sorpresa della serata è il giovane Vittorio Grigolo, in strepitosa forma vocale e decisamente maturato a livello stilistico ed interpretativo. Un Des Grieux istintivo e appassionato che scuote l’audience per un canto generoso e ricco di pathos, ma così attento alle sfumature, al fraseggio e alle mezze voci che scappa la lacrima nel finale del secondo atto e un brivido in “Ah! fuyez, douce image”.
Il resto del cast, seppur apprezzabile, non è allo stesso livello dei protagonisti. Russell Braun è un Lescaut corretto, ma non particolarmente originale. Ottima dizione e giusta verve comica per il Guillot di Guy de Mey. Scenicamente intrigante, ma dalla voce un po’ asciutta. il Brétigny blasé di William Shimell (baritono inglese che ha recentemente debuttato con successo nel cinema nell’ultimo film di Kiarostami a fianco di Juliette Binoche). Il Comte des Grieux di Christoh Fischesser manca di autentica autorevolezza; Lynton Black è un oste divertente. Divertenti e frivole, dalle movenze volutamente caricate e bellissimi vestiti, Simona Mihai (Poussette), Luoise Innes (Javotte) e Kai Rüütel (Rosette).
Antonio Pappano, fautore del repertorio francese e di Manon in particolare, di cui ha scelto l’edizione integrale, propone una lettura tesa e vibrante e l’opera corre veloce e fluida mantenendo sempre alta l’attenzione dello spettatore. Una direzione sinuosa, ben calibrata nei colori e negli spessori, che valorizza al massimo la partitura, fra brividi, slanci e smorzature, priva di leziosità, in perfetto equilibrio fra dramma e velluto. Ottima la prova dell’orchestra e del coro diretto da Renato Balsadonna, sottoposto a un notevole tour de force scenico.
Trionfo per entrambi i protagonisti: ci si chiede già dove poterli vedere di nuovo, possibilmente sullo stesso palcoscenico.
Visto a London, Royal Opera House Covent Garden, il 4/7/2010
Ilaria Bellini